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Informatica MAG / Speciale

Open Data nella Pubblica Amministrazione

Ha ancora senso nel 2021, dopo oltre 12 anni da quando tutto è iniziato, parlare di “dati aperti” della Pubblica Amministrazione?

La domanda non è retorica, perché c’è una parte di amministrazioni che ci ha creduto e poi ha sperimentato scarsi risultati e una parte di “attivisti” che dopo un grande entusiasmo, sono rimasti delusi dalle iniziative avviate e poi abbandonate.

Dico subito, a scanso di equivoci, in quanto sono parte in causa e penso che i dati aperti abbiano grandi potenzialità. Sono stato per 10 anni responsabile del programma Open Data di Regione Lombardia, ed a marzo 2012 in conferenza stampa presentavo il portale con 23 dataset. Ora ce ne sono oltre 5.000, di Regione, delle sue partecipate e di diversi comuni lombardi. È stato un percorso lungo e non sempre facile, ma portato avanti con metodo e coerenza. Ma andiamo con ordine.

Quando è nato l’Open Data ?
Quasi tutti fanno risalire il big-bang dell’Open Data al Memorandum “Transparency and Open Government” firmato dal presidente degli USA Barack Obama il 21 gennaio del 2009, il primo giorno della sua presidenza. Il memorandum in sintesi diceva tre cose molto semplici:
• il governo dovrebbe essere trasparente,
• il governo dovrebbe essere partecipativo,
• il governo dovrebbe essere collaborativo.
Sono i tre pilastri dell’Open Government, da allora portati avanti da una organizzazione no-profit, l’Open Government Partnership alla quale hanno aderito 78 paesi, tra cui l’Italia a partire dal 2011. In realtà il fatto che esistesse una legge del 1966 sul F.O.I.A. (Freedom of Information Act) è sicuramente stato un elemento abilitatore e già quattro anni prima, nel dicembre 2007 un gruppo di attivisti del movimento Open Source si era riunito vicino a San Francisco per elaborare il concetto dei dati pubblici aperti e sottoporlo ai candidati alle elezioni presidenziali. Erano presenti figure di spicco come Tim O’Reilly e Lawrence Lessig, il fondatore delle licenze Creative Commons che ancora oggi sono le più utilizzate quando si parla di Open Data. Sempre del 2009, non si può non citare la famosa conferenza in cui Tim Berners Lee, l’inventore del Web, lanciò il concetto dei Linked Data e la famosissima esortazione “Row Data Now !”, ancora oggi attuale.

A che punto siamo in Italia?
L’ultimo report dell’European Data Portal, l’Open Data Maturity 2020 Report, mette l’Italia nel gruppo dei “Fast Tracker” con un punteggio di 88/100, dietro ai 7 paesi che rientrano nel gruppo dei migliori, i “Trend-Setter”. Come tutte le classifiche dipende da quali sono i parametri presi in considerazione. A mio avviso è una valutazione fin troppo generosa a fronte, ahimè, di una adozione ancora poco diffusa e di scarsa qualità Il “Referto al Parlamento sullo stato di attuazione del Piano Triennale per l’informatica 2017-2019 negli enti territoriali, presentato dalla Corte dei Conti a luglio 2020, contiene a mio avviso il quadro più completo e recente dello stato di adozione dell’Open Data. Su 7.269 comuni che hanno partecipato all’indagine solo 554 hanno dichiarato di fare Open Data, ovvero solo il 7,6%. Il dato varia, come ci si può aspettare, a seconda della dimensione del comune. Si va dal 50% per i comuni oltre 250.000 abitanti, al 32% nella fascia 60.000 250.00, per scendere al 12% nella fascia 20.000-60.000 e crollare al 6% nei piccoli comuni sotto i 20.000 abitanti. Il 6% è una percentuale irrisoria, ma è anche vero che se 416 comuni l’hanno fatto ciò significa che si può fare! Tutto ciò senza entrare nel merito dei numerosi problemi di qualità che sono presenti in molti portali, quali formati non aperti, licenze non adeguate, dati poco significativi e non aggiornati. Dall’altra parte ci sono iniziative serie sia a livello centrale che a livello locale. Progetti portati avanti con serietà e coerenza da molti anni. Una visita sul portale nazionale https://www.dati.gov.it/ può servire a farsi una idea, anche se è necessario non farsi abbagliare dal numero di dataset e approfondire l’analisi valutando i contenuti ed i metadati dei singoli dataset. L’adozione del concetto di dato aperto nel sistema legislativo-regolamentare italiano ha subito varie fasi per consolidarsi ormai da diversi anni nella norma fondamentale, il Codice dell’Amministrazione Digitale, che all’art. 50 recita. “I dati delle pubbliche amministrazioni sono formati, raccolti, conservati, resi disponibili e accessibili con l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione che ne consentano la fruizione e riutilizzazione ...”. La norma prevede una responsabilità ed un impatto sulle performance di risultato del dirigente responsabile, ma nonostante questo ciò non ha determinato un’ampia diffusione. Nel Decreto Legge Semplificazione (DL 77 del 31-5-2021) approvato in via definitiva dal parlamento a fine luglio 2021, è stato introdotto l’art 18-bis nel CAD che prevede che la mancata osservazione dell’art. 50 del CAD, assieme ad altri obblighi, rientra tra le possibili cause di sanzioni pecuniarie da 10.000 fino a 100.000 euro. È troppo presto per dire se sarà questo ennesimo intervento legislativo a dare un impulso agli Open Data. Come cercherò di spiegare da qui in avanti si tratta, a mio avviso, di creare la giusta consapevolezza dell’importanza e degli impatti, perché la mancata adozione del paradigma degli Open Data è causata primariamente da un deficit culturale. 

La nuova direttiva Europea PSI (Public Sector Information)
Con la Direttiva (UE) 2019/1024 del Parlamento europeo e del Consiglio è stato completato l’iter volto alla rifusione della Direttiva 2003/98/CE e alla introduzione della nuova disciplina sull’apertura dei dati e il riutilizzo delle informazioni nel settore pubblico. Il recepimento da parte del governo italiano è in corso e sarà completato entro settembre. Ci si può aspettare che le novità introdotte daranno un nuovo impulso all’Open Data.
Tra le novità sono da sottolineare:

  • Il principio generale secondo il quale tutti i contenuti del settore pubblico accessibili ai sensi delle norme nazionali siano resi disponibili gratuitamente per il riutilizzo;
  • la particolare rilevanza attribuita ad alcune tipologie di dati, definiti come dataset ad alto valore, quali le  statistiche o i dati geospaziali, a anche i dati delle imprese e i dati della mobilità, che hanno un notevole potenziale commerciale e possono accelerare lo sviluppo di molti prodotti e servizi a valore aggiunto;
  • l’estensione dell’ambito di applicazione della direttiva alle imprese di servizio pubblico nel settore dei trasporti e dei servizi di pubblica utilità, che gestendo importanti servizi ne producono anche i dati;
  • la maggiore disponibilità di dati in tempo reale mediante l’uso di interfacce API (Application Programming Interfaces) al fine di favorire lo sviluppo di prodotti e servizi innovativi da parte delle imprese.

Una visione diversa per una iniziativa Open Data: comunicazione, servizi, sviluppo
Per molto tempo i progetti Open Data si sono dati come obiettivo quello di pubblicare il maggior  n umero possibile di dati. Il successo da molti è stato misurato con il numero di dataset pubblicati su un «catalogo» di dati aperti, gareggiando con gli enti dello stesso tipo. Come spesso accade si sono confusi i risultati con gli obiettivi, gli output con gli outcome. Ciò è determinato dalla difficoltà che esiste, obiettivamente, nella misurazione degli impatti, dei benefici generati dai progetti. Inoltre i progetti di Open Data si sono focalizzati sulla pubblicazione di dataset, comprensibili solo a pochi dotati di competenze tecniche, tralasciando l’aspetto comunicativo utile a raccontare a tutti cosa i dati contengono. A mio avviso, se si vuole interpretare in modo più moderno ed efficace un progetto Open Data occorre provare a definire fin dall’inizio quali possono essere gli impatti che si vogliono ottenere, come misurarli e quindi quali risultati produrre per cercare di generare quegli impatti. Ecco un esempio degli impatti che si dovrebbe tendere ad ottenere:

  • politiche maggiormente data-driven;
  • stakeholder più consapevoli e informati delle politiche dell’amministrazione;
  • cittadini e turisti più informati sul territorio e sui servizi;
  • opportunità di sviluppo per le imprese;
  • supportare le scelte del cittadino e delle imprese.

Informare i propri stakeholder, rendicontare lo stato delle politiche ed il raggiungimento degli obiettivi prefissati, passa anche attraverso la pubblicazione di dati di monitoraggio e la comunicazione semplice ed efficace attraverso cruscotti che visualizzano immediatamente le performance di una amministrazione. Ci sono diversi esempi quali le performance dashboard di Vancouver o di Buffalo o il monitoraggio dei lavori pubblici di Austin o di Fulton County

Cittadini e turisti più informati sul territorio e sui servizi
I dati dovrebbero essere usati per comprendere i fenomeni del territorio, analizzare i cambiamenti in atto. Queste analisi non devono però rimanere nei cassetti delle amministrazioni bensì devono essere rese disponibili a tutti affinché conoscano la realtà oggettiva nella quale vivono, studiano, lavorano, al di là delle percezioni molto spesso distorte. Alcuni esempi sono il progetto “Bergamo in chiaro” o la Mappa dei quartieri del Comune di Milano. La pubblicazione dei dati aperti delle pubbliche amministrazioni possono inoltre abilitare soggetti terzi a realizzare le proprie analisi ed anche comparazioni tra diversi territori. Ne è un esempio interessante l’iniziativa City Health Dashboard che presenta decine di indicatori sul benessere delle città, dal punto di vista della salute, del lavoro, dell’ambiente, della sicurezza, e permette di comparare tra di loro le performance di città diverse.

Opportunità di sviluppo per le imprese
La comunità europea ha commissionato negli anni diversi studi sull’impatto economico degli Open Data. Il più recente “The Economic Impact of Open Data“, del 2020, misura un impatto dei 184,45 miliardi di € nel 2019 e stima una crescita al 2020 tra i 199 ed i 334 miliardi di €. I posti di lavoro creati sono oltre 1 milione e potrebbero sfiorare i 2 milioni nel 2025. Sono dati a cui si fa fatica a credere, in particolare perché la natura degli Open Data fa sì che on sia sempre visibile chi li usa e per fare cosa, ma sono ormai oltre 10 anni che vengono misurati e stimati da importanti società di ricerca. Sono numerose le APP che abbiamo sul nostro smartphone e che non immaginiamo siano nate grazie agli Open Data, cito solo nei trasporti Moovit (circa 900 milioni di utenti) e Citymapper (oltre 50 milioni di utenti). Mi fa piacere citare un esempio italiano, Stendhapp, una Startup Innovativa A Vocazione Sociale SIAVS, fondata da tre donne, che a partire dai dati aperti della cultura vuole farci scoprire la bellezza che abbiamo intorno a noi. Sull’impatto per le imprese italiane esiste solo la ricerca Open Data 200 Italy, fatta da Fondazione Bruno Kesler qualche anno fa, che ha mappato 55 aziende che lavorano con gli Open Data. è uno spaccato interessante, ancorché sicuramente  parziale. 

Supportare le scelte del cittadino. I dati sono utili per prendere decisioni. 
Attraverso i dati è possibile realizzare servizi che possono aiutare a scegliere le migliori strutture sanitarie, come “Dove e come mi curo” o iHealthYou, o conoscere in tempo reale la qualità dell’aria nella nostra città.
Nell’estate 2021 abbiamo assistito ad esondazioni di fiumi che hanno provocato ingenti danni e purtroppo anche molte vittime, in Europa ma anche in Italia. Se i dati del monitoraggio dei fiumi fossero aperti in tempo reale, come in Inghilterra, i cittadini potrebbero usufruire di servizi come FloodAlerts e mettersi in salvo o mettere in sicurezza le proprie cose. E gli esempi potrebbero proseguire con temi come i servizi sociali, i trasporti, la cultura, l’ambiente, la scuola, lo sport, il tempo libero. Politiche maggiormente data-driven. In seguito all’analisi dei dati degli incidenti, fatta da un Data Journalist, il comune di Bergamo ha modificato la viabilità in un incrocio dove si erano verificati molti incidenti e li ha ridotti a zero. Regione Lombardia analizza la soddisfazione degli utenti della propria piattaforma Bandi OnLine ed utilizza i risultati per migliorare il servizio. Sono solo due esempi di come alcune pubbliche amministrazioni italiane utilizzano i dati per le proprie politiche. Un interessante Report del Giugno 2021, del Monitor Institute by Deloitte, fotografa come l’approccio data driven sia cresciuto ed abbia dato significati risultati in oltre 250 città americane. Dal 2015 al 2021 le città che rilasciano dati aperti sono passate del 18% al 67%, quelle che monitorano i propri progressi attraverso obiettivi misurabili sono passate dal 30 al 75%, quelle che modificano i propri programmi sulla base di analisi dei dati sono cresciute dal 28% al 61%. L’uso estensivo dei dati ha portato il 60% delle città a migliorare i tempi di risposta nelle emergenze, il 49% a migliorare la sicurezza dei quartieri, il 37% a ridurre in maniera significativa i rifiuti, le emissioni e migliorare la qualità dell’aria e dell’acqua. Anche durante l’emergenza COVID il 70% ha sistematicamente utilizzato i dati per prendere decisioni. 

Quali sono i fattori critici di successo di una iniziativa Open Data?
Sulla base della mia esperienza diretta ed avendo osservato per molti anni altri progetti Open data di successo, ho identificato 8 fattori critici di successo, ognuno essenziale:

  • UN IMPEGNO DI MEDIO-LUNGO PERIODO
Per fare un parallelo sportivo, non si tratta di uno sprint ma di una maratona. Come molti altri progetti, per raggiungere una buona maturità ci voglio almeno 3 anni ed i risultati si vedono anche dopo. È necessario pertanto che ci sia la convinta sponsorizzazione dei vertici dell’amministrazione, che devono sostenere anche economicamente l’iniziativa.
  • UN TEAM DEDICATO CON CONTINUITÀ
Servono competenza multidisciplinari: gestione dei dati, analisi, statistica, grafica, comunicazione. Ma serve anche continuità perché molte cose si imparano sul campo e non sui libri. Il numero e l’impegno dipende dalla vastità e dalla complessità, ma non necessariamente devono essere risorse interne, possono essere anche fornitori esterni, visto che competenze ed esperienze ormai non mancano.
  • PROCESSI AUTOMATICI DI PUBBLICAZIONE, DATA QUALITY E MONITORAGGIO
È essenziale che i processi di pubblicazione siano automatizzati per ridurre l’impegno delle persone, garantire aggiornamenti frequenti e la sostenibilità economica. Occorre impegno a garantire la massima qualità dei dati possibile e serve un monitoraggio continuo degli utenti, degli accessi e dei riutilizzi.
  • SENSIBILIZZAZIONE E FORMAZIONE
Soprattutto nelle fasi iniziali occorre sensibilizzare i referenti interni, spiegare le finalità e rimuovere le resistenze e le perplessità attraverso attività formative. Soltanto la collaborazione convinta dei detentori dei dati e degli esperti di dominio interni all’ente può garantire la pubblicazione di molti dati di qualità.
  • STANDARD E DOCUMENTAZIONE
Gli standard aiutano i riutilizzatori, soprattutto quando lo stesso dato è pubblicato da diversi soggetti. Esistono diversi standard di fatto in vari campi, vanno conosciuti ed usati. Se non esistono si deve mantenere per lo meno una coerenza all’interno del proprio catalogo di dati e soprattutto documentare i propri dati.
  • ASCOLTO, APERTURA AL MONDO ESTERNO
È insita, nella filosofia dell’Open Government, l’apertura al mondo esterno non solo ai fini della trasparenza ma in logica di collaborazione e partecipazione. Occorre fare il possibile per aprirsi a richieste e suggerimenti e creare occasioni di collaborazioni con soggetti del mondo della ricerca, delle imprese e dell’attivismo civico.
Un esempio recente è il programma “City incubator” di GovLab ma anche le iniziative di Regione Veneto con gli Innovation Lab.
  • DIVERSI MODI DI RAPPRESENTARE IL DATO E DI RACCONTARLO TRAMITE LE STORIE
Se l’essenza di una iniziativa di Open Data è quella di “liberare” i dati, permettendone il riutilizzo a chiunque, le pubbliche amministrazioni non devono tralasciare di utilizzare loro stesse i dati per evidenziarne i contenuti o ad esempio descrivere il territorio, rendicontare il proprio operato o erogare veri e propri servizi ai cittadini.
  • UNA PIATTAFORMA CON FUNZIONALITÀ AVANZATE
Una piattaforma adeguata deve permettere non solo di gestire il catalogo, ma deve avere funzionalità avanzate di documentazione dei dati (metadatazione), ricerca dei dati, rappresentazione con grafici, mappe e storie, e non da ultimo deve offrire l’accesso tramite API che permettano anche l’accesso granulare e non solo quello massivo. Soluzioni in cloud sono ormai la norma ed hanno costi di esercizio molto ridotti.

Conclusioni
La consapevolezza dell’importanza dei dati, anche di quelli raccolti e gestiti dalla Pubblica Amministrazione, mai come oggi è stata così alta. Oggi, a differenza di quando è nato il movimento dell’OpenGovernment, non siamo più in presenza di teorie o speranze, ma abbiamo la possibilità di analizzare esperienze che in tutto il mondo hanno dimostrato che la trasparenza, la collaborazione e l’apertura dei dati generano valore per ampi settori della società. I vantaggi che si generano quando le pubbliche amministrazioni liberano i propri dati, alla luce di quanto è avvenuto negli scorsi 12 anni, sono indiscutibilmente molto interessanti. Si tratta di rompere gli indugi ed avere un po di coraggio, coscienti che solo chi fa sbaglia, ma avendo comunque presente che per fare Open Data sul serio servono competenza e programmi a medio-lungo termine.

Daniele Crespi
Sviluppo Servizi Innovativi ed e.Gov - Gruppo Maggioli

20 settembre 2021
Posted: 20/09/2021 10:45:24 by | with 0 comments

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